lunedì 28 novembre 2011

Bebè? Cose da uomini...

Dopo circa due mesi in part-time, posso dire di aver ripassato un po' tutta la teoria e la pratica del bebè.
Il gretto materialismo maschilista, di cui la nostra (ehm... vostra) società è intrisa, detta gli usi, i costumi e detta anche la cultura. "Allevare marmocchi è cosa da donne" non te lo dice solo la tv (mai visto una pubblicità di pannolini con il papà eh...) o i giocattoli di quando sei un bambino (un maschietto non giocherebbe mai con la culla delle bambole perchè è ROSA).
E anche i libri che trovate in libreria parlano sì di come cavarsela con un infante, ma sono fatti per essere capiti dalle DONNE (che come è noto hanno un cervello differente). Una donna capisce le cose al volo, capisce anche quello che non c'è scritto, e poi ti dice "ma è ovvio che intendeva così!" indicandoti la pagina bastarda.

Ma vorrei vederla con in mano "Manutenzione ed elaborazione del 4 tempi" oppure "Trasmissione dati nelle auto da competizione"... tutto cambia, questi sono libri per noi!!! Sono scritti diversi, forse siamo diversamente intelligenti. Senza forse anche.

Serve un manuale tecnico sufficientemente dettagliato per un UOMO (maschio). Dunque eccomi (io, supereroe, paladino dei miei simili) ad illustra`re come sopravvivere alla Creatura senza farle fare la fine di una pianta grassa in ufficio.


Il pannolino

Dai, è una cagata (!), passiamo oltre.


La notte

Siccome siete part-time, anche vostra moglie ha il diritto di dormire, nota bene che ho detto ANCHE.
Se la pupa/il pupo rompe le palle per l'undicesima volta e voi vi siete gia alzati 10 volte, e sono circa le 4 di mattina, tirate un bel calcio a vostra moglie e poi fate finta di dormire quando lei (finalmente) si sveglia.


La mattina

La Creatura appena sveglia avrà sicuramente l'appetito di un piranha. I problemi arrivano se avete un'altra creatura leggermente più grande con lo stesso problema (fame rabbiosa). La procedura consigliata dal vostro supereroe di fiducia è la seguente:

1- indossate guanti di cuoio (tipo da falconiere), vi aiuterà a proteggervi da morsi e graffi;
2- prendere la creatura più piccola (la meno veloce/mobile) e incastrarla in un seggiolone;
3- preparare la colazione per la creatura più grande e pericolosa che vi stava guardando male;
4- ora che solo una delle due bestie feroci sta urlando preparatele un biberon.

La pappa

Momento cruciale della giornata, la cosa più importante per portare a termine questo lavoro la missione è scegliere gli attrezzi giusti. In particolare vi serve:
a- bavaglina avvolgente, tipo scudo termico di Goldrake.
b- un cucchiaino speciale (dopo ne parliamo).
c- una ciotola con avanzati sistemi di difesa (deflettori antilaser) e dispositivo antiribaltamento.
d- un intero rotolo di carta assorbente (scottex).
e- una idropulitrice per "sistemare" il campo di battaglia DOPO.

Per la ciotola... mia moglie non lo sa, ma io mi trovo benissimo con quella a tronco di cono che usava il mio cane Rocco, impossibile da rovesciare!

La dolce puffetta ha fame, ed è magari anche un po' intraprendente, tipo che usa le manine per prenderti il cucchiaino o la tazzona con la pappa. Sui libri "da donne" c'è scritto di dare un cucchiaino anche all'infante, in modo che ci giochi e si distragga da altre cose.

NEJ!!! NEJJJ!! SBAGLIATEN!!!

La bastarda lo userà come una spada per parare il TUO cucchiaino pieno di pappa in arrivo. Poi proverà ad infilarlo dentro la tazza della pappa sporcando tutto e tutti.
Quello che dovete fare è semplice. mettete la Creatura Innocente nel caregotto (seggiolone), avendo cura di farla sedere obliqua, non verticale. Obliqua verso la vostra destra se usate la spada il cucchiaino con la destra, verso sinistra se siete mancini. Mettendola in questa posizione dovrete incastrarle il braccio contro il supporto laterale del seggiolone, in questo modo non potrà usarlo (per difendersi).

Una volta che il cucciolo è così bloccato non abbassate la guardia, ricordate che ha ancora un braccio libero e una bocca che non vorrà aprire.

Mettete il bavagliolo avvolgente addosso all'avversario al pupo.
Prendete un cucchiaino di pappa dalla ciotola, pulite la parte inferiore (quella convessa) sul bordo per evitare di sgoccioolare (si questo, lo ammetto, è un trucco che ho imparato da mia moglie, ma è l'unico). Guardate il pupo/a con dolcezza e con la vostra mano libera prendete la SUA manina bastarda che cerca di prendere il cucchiaino (questo non l'avete letto da nessuna parte eh? PERCHE' SONO LIBRI SBAGLIATI). Il pupo/a ne sa più di voi, e cercherà di attaccare con un colo di testa (zuzuki) andando a finire con il naso nel cucchiaino e costringendovi a ricaricare l'arma. Uno a zero, palla al centro.

Non perdete la concentrazione. Una volta ricaricato pensate di maneggiare uno strumento strano, a metà strada tra una cazzuola da muratore e un piede di porco da scassinatore. Usate la parte inferiore della punta del cucchiaino per aprirvi un varco tra quelle labbra serrate che solo una mezz'ora prima vi sorridevano. Una volta che siete riusciti ad entrare, appoggiate la parte concava del cucchiaino alla parte interna della gengiva superiore e tirate fuori l'arnese. E' un po' come quando devi mettere la malta sul bordo del forato di spigolo, mentre tiri su un tramezzo.

Ora il cucchiaino da usare deve essere ADATTO.
È inutile che mi venite a dire "la procedura non funziona" se non usate gli strumenti giusti. Ecco qui per voi i requisiti tecnici:
a- Deve avere la giusta robustezza, o non riuscirete ad usarlo come un piede di porco.
b- Deve avere la giusta concavità per contenere (e difendere) una discreta quantità di pappa (durante l'inserimento il piccolo bastardo cercherà di usare il labbro superiore come uno spazzaneve per rovesciare la pappa dal cucchiaino).
c- E' consigliata una impugnatura con sigrinatura antiscivolo.
d- Il modello tedesco ha anche un abbassalingua estensibile a comando elettroidraulico e una piccola dentatura ricurva sulla punta.
e- Il modello inglese ha un mini serbatoio di pappa nel manico, tu infili il cucchiaino vuoto nella bocca della bestia e poi lo riempi.

L'operazione procede a rilento, ad ogni colpo, riuscite ad infilare nella bocca del pupo/a solo un mezzo cucchiaino di pappa o anche meno. Inoltre l'infame provvederà a sputacchiare la pappa fuori con la scusa che non sa deglutire ma con gli occhi da diavolo sotto l'aureola da angelo. A questo punto, il vostro cucchiaino è una spatola da stuccatore professionista, raccoglieto e ricacciate quella melma dal buco da cui è uscita.
Rifinite il lavoro con il frattazzo (altro strumento da muratore che si usa per stendere l;intonaco e altro ovviamente sconosciuto all donne), allisciando sopra le labbra, per sigillare (e convincere).

Se pensate che la cosa sia frustrante perchè non vedete avanzare il lavoro (la ciotola sembra sempre piena di malta) sappiate che anche il vostro nemico adorato bimbo si sente frustrato perchè non sa quando finirà la tortura. Ad un certo punto urlerà: AAAARRRRRGGGGGHHHHH!!!!
Questo è il vostro momento. La soddisfazione che otterrete vi ripagherà di tutti gli sforzi!
Con gesto rapido e preciso caricate una sbadilata di pappa (con il colmo) e cacciatela dentro quella bocca urlante spalancata. Se non vuole soffocare, la creatura dovrà deglutire prima di poter urlare di nuovo. E voi di nuovo le caccerete mezza ciotola di pappa dentro. In questo modo il vostro dolce pargoletto imparerà anche a non urlare a sproposito.

Se non avete un'idropulitrice industriale a portata di mano, usate un idrante antincendio per pulire pupo, seggiolone e cucina dopo l'ultimo cucchiaino.

Disclaimer: questa non è una forzatura nei confronti del pupo che non vuole mangiare. Il pupo/a vuole mangiare, solo che non è capace di sincronizzae l'apertura della bocca e la chiusura.


Uso di computer, Ipad e affini

Dato che non è necessario conoscere come funziona una ALU (Aritmetic Logic Unit) per usare un computer, i vostri figli sono in grado di usarli. E forse anche meglio di voi stessi.
Se li tenete in braccio mentre state scrivendo una mail, o un pezzo di codice importante, o un post sul vostro blofgn, loro metteranno le loro porche schifose manine bellissime dove le state mettendo voi. Sulla tasfgstiera, aggiungendo catteri a loro fantasia, o ancora peggio attivando comandi rapidi (shortcut) di cui non sapete nulla, nè come attivarli nè tantomeno come disattivarli o annullarli.
Toccheranno il touchpad (quello del mac è multitouch, quindi se lo sto toccando io e lo tocca anche questa disgraziata succede un casino).

La Apple ha fatto il Magic Mouse, che non è un mouse, non ha la palla, non ha l rotellina, ma siccome lo tocchi tu loro si incuriosiscono. Lo prendono, lo struccano, lo mordono, lo ciucciano, poi lo buttano per terra... tanto non c'è nemmeno il filo che lo tiene.

Iphone: TheAngel ha iniziato ad andare sullo schermo con l'indice per toccare le icone a 6 mesi, non parliamo di Rocket.

Se siete nel mezzo di una conversazione Facetime o Skype con un tablet vedrete quel ditino sempre andare verso il pulsante rosso che termina la chiamata (ma dico io, perchè lo hanno fato rosso? Ma tu ci andresti in guerra con un beretto rosso? È ovvio che ti beccano no?).

Evitate dunque se possibile ogni contatti tra gli infanti e i vostri magici dispositivi, anche perchè ne perderete la proprietà (Rocket prendendo l'Ipad della nonna "è mio!").

Rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento.

lunedì 21 novembre 2011

Incontri italiani

Ieri era una giornata buia e piovosa, una di quelle che (se non avessi figli) diresti "resto a letto tutto il giorno".
I figli invece ce li abbiamo (ahinoi!) e quindi quando mi sono alzato ancora non riuscivo a vedere fuori (non aveva ancora albeggiato).

Fortunatamente era la Nostra Giornata, la festa degli Italiani in Östergötland!

La mattinata va via per i preparativi (come forse in casa di tutte le altre famiglie). Giulia ha promesso le Lasagne ai Funghi... MMMMMHHHH...
Come al solito siamo in ritardo. Perfino Francesco con le sue 3 donne (!) ci batte sul tempo. Forse è Antonella l'ultima arrivata a Norrköping che lo sprona, fatto sta che quando suonano il nostro campanello devo ancora vestire Martina! Avevamo appuntamento sotto casa nostra per fare carovana.

L'appuntamento è in un posticino tranquillo, fuori Linköping. Siamo praticamente gli ultimi e in parcheggio non c'è più posto, siamo costretti a parcheggiare le nostre auto nel punto I.C.A.L. (in culo ai lupi).

Quando arriviamo... weee chi se lo immaginava? Circa 30 persone, 8 famiglie più varie ed eventuali.

Vitaliano è un ospite fantastico, ci ha invitato praticamente a casa sua (ha prenotato un locale condominiale, si dai non gl andiamo proprio a rompere i gabbasisi in soggiorno). Un locale che, come dice lui, di solito ospita riunioni di condominio, in cui l'unico italiano è lui... Non gli sembra vero vederci tutti quanti lì! Ha quasi le lacrime agli occhi...

Michele, si fa subito avanti con un paio di bottiglie di spumante per festeggiare "la caduta" del deficiente che governava l'italia fino alla settimana scorsa. Cioè mi sono tolto la giacca da 45 secondi e ho già il bicchiere in mano! Ho lasciato la bandiera a casa!!! Improvvisamente mi ricordo di quello che mi ero promesso di portare... amen...
Salvatore è il primo ad unirsi a Michele, io salgo su podio subito dopo, ma si alla fine sono tutti d'accordo...

Gabriele provvede ad immortalare il gruppone, in una mano la machina fotografica (nuova), nell'altra il bicchiere. Questa volta niente incidenti (dopo l'esperienza della blogfesten adesso la tiene sempre al collo eh).

Non so più dove sta Rocket, ma sento un continuo vociare di bambini: è sicuramente in buone mani.
Martina invece è in braccio a me e cerca di agguantare il bicchiere (è entrata anche lei nello spirito della festa!).

Ilaria e Alberto svettano tra la folla, poi c'è gente che non conosco. Uno studente di Linköping (beato lui in mezzo alle studentesse di qui!), uno che fa il post-doc perchè è rimasto fregato (praticamente ha firmato il contratto senza vedere com'era l'inverno... ha testato solo l'estate). E poi tanti altri.

Non mi ricordo più chi è stato a lanciare l'idea, fatto sta che prima di pranzare ad uno ad uno ci alziamo e ci presentiamo. Cioè avete presente? Tipo club alcolisti anonimi. Mi viene in mente la scena degli squali in "Finding Nemo". "Ciao, mi chiamo Bruto - ciao bruto - sono uno squalo e sono tre giorni che non mangio pesce, parola mia...". Non sono preparato... che gli racconto?

C'è di tutto, maschi italiani che hanno sposato donne svedesi, donne svedesi che hanno sposato italiani, italiani disperati che hanno lasciato l'italia in cerca di fortuna, mamme d'italiani "costrette" a salire al nord (mia madre).

Sono tutti contenti di essere qui, quasi tutti. Restano fuori mia madre (ma che tanto tra una settimana torna giù) e Ilaria e Alberto, che poveretti sono venuti su in trasferta lavorativa, e vivono in un paesetto dove-non-succede-mai-un-cazzo.

Inutile dire che ci siamo scofanati "'sto monno e quell'artro", come nei film quando gli italiani si ritrovano, una mega pastasciutta (nemmeno fosse cosa rara) e poi ogniuno aveva portato di tutto.

Ma dopo il vinello, dopo i dolci, dopo le chiacchiere allegre, il nostro anfitrione Vitaliano tira fuori una chicca.

I suoi racconti storici, accompagnati da diapositive originali. No no... diapositive, non "slide" di Power Point.
Ha montato un proiettore di quelli col carrello e il caricatore. Roba che non vedevo da 15 anni almeno se non di più. Oddio, si le diapo le ho usate anche io, Velvia a manetta, ma solo per poi scansionarle e digitalizzarle, quando le reflex digitali erano ancora costose per averne 2, usavo una reflex a pellicola come secondo corpo.

Roba da pelle d'oca. Roma alla fine degli anni '50, le Fiat 500 nuovissime!!! La fiaccola olimpica del 1960, e poi Copenhagen e Stoccolma nello stesso periodo.
Una foto dell'Amerigo Vespucci mi fa venire quasi le lacrime agli occhi. L'Amerigo Vespucci, la nave più bella del mondo, il simbolo della nostra marina. Io ho avuto l'onore di salirci a bordo circa 20 anni fa, e da allora aspetto il momento che potrò rivederla.
Altre foto, si vede la gente dell'epoca. Le donne vestite tutte eleganti... ci penso un'attimo... dov'è finita quell'eleganza? Siamo più ricchi oggi? oggi al confronto andiamo in giro che sembriamo degli straccioni.

Quello che Vitaliano ci ha offerto è stato davvero molto bello. La storia del suo viaggio, di come ha conosciuto la svezia, di come si è innamorato, e di come ha deciso di trapiarsi qui. Che forte!

Mi sa che la prossima volta allora gli facciamo vedere noi la nostra storia, mi attrezzerò con un videoproiettore un po' più moderno (Airplay?), spero che la qualità delle immagini sia all'altezza.

Grazie ancora, alla prox!

lunedì 14 novembre 2011

Un Dono d'Ali

Era da un po' di tempo che avevo voglia di passare un po' di tempo per i cazzi miei, lontano da ufficio, bambini rompip..., moglie (adoratissima ma pure lei ad un certo punto ti stressa).

Non tanto, mi basta un paio d'ore...

Di solito o sono in ufficio o sono a casa con i pupi, l'ultima birra con gli amici era ancora estate... Giulia almeno ogni tanto va in palestra...

Tutte le volte che programmo un giretto sul fiume da solo con la mia macchina fotografica poi va in vacca per un motivo o per l'altro.

Facciamo un'ora?

Finalmente, si presenta l'occasione. Potrò starmene 20 minuti assolutamente e irrevocabilmente lontano da tutti.

Il club di volo a vela di Norrköping (Norrköpings Segelflygklubb) organizza lezioni e voli di prova in aliante.

Aliante, niente motore, solo il vento intorno a te.

Era un'esperienza che volevo provare già in italia, ma poi la nascita del mio primo figlio mi aveva bloccato (un improvviso senso di responsabilità maggiorato).

Eh? No, non era paura, non sono mica uno sbarbatello, IO.
Quando ero giovane (si può dire?) i miei avevano una casa in Umbria, a San Giustino, un gran bel posto. Tranquillo, in mezzo alla natura, a 2 passi dal bosco del Roccolo, da un laghetto pieno di Martin Pescatore e dalla pista di motocross.
Beh, ero solo un ragazzino, appassionato di aerei come tanti altri, e un conoscente di mio padre di lì (ciao Luciano!) volava con un ultraleggero biposto.
Ovvio che mi ha portato su tutte le volte che si è potuto. Si partiva dal campo di volo di Palazzolo Avio a San Sepolcro. Una volta per una stupidaggine (sua moglie salendo ha urtato il sistema di sgancio del tubo che porta la benzina dal serbatoio -sotto il culo del passeggero- alla pompa -dietro il culo del passeggero) ha avuto un brutto incidente: gli si è spento il motore subito dopo il decollo ed è caduto in un campo di tabacco. Ha semi distrutto il suo bel delta, e io gli ho dato una mano (che onore!) a ricostruirlo, un bullone alla volta durante un sabato sera d'estate (una gran figata di esperienza!).
Indovinate un po' chi c'era il giorno dopo seduto sul seggiolino del passeggero per il volo di collaudo?

La cosa più bella è stata stringere i bulloni dell'elica, sei. L'ultimo tocco.

Velocità massima 120 km/h. Niente volo rovesciato, al massimo potevi mettere le ali perpendicolari al terreno. Il "trabiccolo" era un traliccio di tubi, con un motore da 500cc, elica spingente e un'ala a delta, con sistema pendolare per governarlo. Non era certo un aereo, ma quanto era bello vedere l'Umbria da lassù!

Una mattina grigia di fine estate, su quel campo di volo trovai degli alianti. Erano arrivati la sera prima, con un volo di trasferimento da non so dove, e se ne ripartirono dopo qualche ora per non so dove.
Erano accompagnati dal loro aereo da traino, un ala bassa con un profilo alare molto spesso e che mi aveva incuriosito per la forma molto generosa dei suoi SLAT (ipersostentatori sul bordo d'attacco dell'ala).
Impacchettando le mie cose per il trasloco mi ricordo che erano saltate fuori le foto di quel giorno.

Aliante. Niente motore, solo tu e il vento e la possibilità di fare praticamente qualsiasi cosa.

Che voglia di volare, volare davvero, non andare sull'autobus della Ryanair!
Prendo accordi con il pilota istruttore. Fissiamo un appuntamento, sabato 1 ottobre, verso le 11. Giulia mi accompagna al campo di volo, ovvio che ci sono anche Rocket e TheAngel.

Arriviamo in anticipo (incredibile) per vedere la preparazione del velivolo, un bellissimo biposto da addestramento, 20 metri di apertura alare. L'istruttore Richard me lo presenta con orgoglio, "con questo giocattolo si arriva a +7g e -4g". Roba seria.

Giulia è un po' preoccupata quando vede che le ali si montano ad incastro... Approfitto del turno di volo prima di me (un festeggiato acompagnato da un gruppo di disgraziati che lo prendono per il culo) per scattare qualche foto. Mia moglie (occhio di lince) scatta delle ottime immagini dell'aliante in alta quota, il mio povero 400 mm non è assolutamente sufficiente, ma come al solito... la lente migliore per scattare una foto è quella che hai su.

La combriccola di persone che accompagnava il festeggiato si porta via il poveretto dopo l'atterraggio... mi sa che non era preparato.

È il mio turno.

Giulia è scomparsa, i bimbi non esistono, non è più affare mio.

Cammino verso il velivolo addormentato sull'erba. La pista è un campo d'erba, come in Umbria. Fa caldo per essere ottobre, sono senza giacca. Il cielo è sereno, un po' di nuvole verso ovest, non c'è praticamente vento.

Intanto l'aereo da traino che aspettava pigramente parcheggiato al sole mette in moto e si porta in posizione. E' una messa in moto strana, che non sentivo da un sacco di tempo. È come quella dei motori sportivi delle auto di una volta, quelli con la chiave di accensione e il bottone dello starter separati. In pratica prima si fa partire il motorino d'avviamento che fa girare l'albero che muove i pistoni e manda in circolazione l'olio. Solo dopo alcuni secondi di lubrificazione si accende lo starter e il motore va in moto con uno scoppiettio malfermo e insicuro. Sembra un motore insufficiente al lavoro che gli si prospetta, debole, ma lo so che è solo il segno dell'alta compressione dei cilindri e dell'elevata potenza. Appena si scalda un po' il suo pilota dà manetta. Un boato cristallino riempie l'aria alle mie spalle.

Sorrido.

L'istruttore mi mette addosso il paracadute d'emergenza e mi spiega dove sta la maniglia da tirare. La raggiungo con la mano e mentalmente prendo nota della posizione. È il primo paracadute che indosso. Unica regola: "Non tirare la maniglia se non sei fuori dall'abitacolo." Ovvio...

Faccio per sedermi nel sedile posteriore, ma un simpatico vecchietto (che prima non avevo nemmeno cagato) mi dice "no no, tu ti siedi davanti!". Rimango un attimo sconcertato, il tipo che era sceso prima era seduto DIETRO...

Guardo il vecchietto (evaso dal circolo anziani) per dirgli "scemo non sono mica io il pilota!" ma lui mi fa vedere di nuovo il sedile davanti e mi prende la macchina fotografica per aiutarmi a salire. Non me lo faccio ripetere, mi siedo davanti, l'abitacolo è piccolissimo e sei semidisteso. Davanti a me ho il pannello degli strumenti, un paio di quadranti che ben identifico e che il vecchietto mi spiega "Velocità... Altimetro". Non voglio fare niente, non sono un esperto, voglio solo ascoltare quello che mi dicono e fare quello che vogliono loro. Io non so nulla. L'istruttore ha finito la sua check list e viene da me, mi allaccia le cinture di sicurezza, e mi fa vedere come sganciarle rapidamente, se ti devi lanciare con il paracadute. Poi mi mostra come si chiude il "canopy" (il tettuccio trasparente) e come funziona l'apertura di emergenza, se ti devi lanciare fuori. Ultima raccomandazione: "Tieni ben stretta la tua macchina fotografica" e mi chiudo dentro. Guardo la mia reflex, pesa quasi 2 kg. Se mi scappa di mano e non mi cade sulla pancia sfonda il tettuccio e sono cazzi.

Il traino è circa 30 metri davanti a noi, il cavo è agganciato. Sul pannello strumenti c'è una spia rossa che deduco non si deve accendere mai per la mia incolumità e una radio. L'istruttore si siede nel posto dietro di me, chiude il suo canopy e inizia a raccontarmi del tempo che troveremo in quota. Il traino ci porterà a 1000 metri, ma non ci sono nè correnti termiche nè vento. Sarà solo un "lento veleggiare verso il basso".

Mi aspetto uno strattone e invece partiamo con estrema dolcezza. Prendiamo subito velocità, sembra che il traino abbia potenza infinita, l'aliante deve pesare almeno 500 kg...

Basta poco e non sento più le vibrazioni del carrello, stiamo già volando ma il traino ha ancora le ruote sulla pista, vuole prendere più velocità.
Quando lui stacca la salita è rapida e costante, il mio pilota gli va dietro tranquillo, correggendo l'assetto ad ogni movimento del traino.

Il decollo di un aliante è una operazione delicata. Per la direzione del traffico aereo, un aereo e l'aliante al traino sono visti come un velivolo unico, diventeranno due solo dopo lo sgancio. Ma questa non è solo una convenzione da Torre, l'aliante segue il traino mantenendo le sue ali e il suo angolo di beccheggio (salita o discesa) sempre paralleli a quelli del traino, come fossero un solo aereo.

Mentre andiamo su il pilota continua a parlarmi con disinvoltura, mi chiede la storia della mia vita e mi mostra la città vista da lassù. Mi mostra anche casa sua, tra il lago e la foresta, bel posto!
A 1000 metri l'aereo che abbiamo davanti espone il cartello "fine corsa" noi ci sganciamo e iniziamo la planata con delle virate dolcissime. La velocità rimane costante sui 100 km/h.
Me lo aspettavo molto più silenzioso, il sibilo del vento attorno a me è altissimo, quasi fastidioso. Chiudo la bocchetta dell'aria, il sibilo si attenua un po'.

Il pilota mi chiede se voglio provare una virata. Sì che vorrei, ma ho la macchina fotografica in mano... "Non questa volta" gli rispondo. Ho già deciso che tornerò su. Scatto, ma la macchina sembra pigra, mi pare che quasi non gradisca l'altitudine. Dopo una scivolata d'ala in cui raggiungiamo i 150 orari e una virata un po' secca livelliamo di nuovo. Siamo di nuovo a 100 all'ora. Ad ogni variazione di assetto la struttura in vetroresina del velivolo scricchiola, sembra un vecchio veliero.

Chiedo al pilota se possiamo provare un po' di acrobazia. Mi fa: "Certo, sei pronto a tenere stretta la macchina fotografica?". Istintivamente gli dico "Sì" ma non sono pronto, o meglio, la macchina fotografica ce l'ho stretta sì in mano, ma non ho pensato cosa ci farò durante le acrobazie.
Non c'è tempo, appena ho detto "Sì" ho scatenato la belva seduta dietro di me.
Richard butta in avanti lo stick (la cloche) e ci tuffiamo in picchiata. L'indicatore della velocità balza a 150 km/h.

Immediatamente mi rendo conto che tutto sarà troppo veloce e se ci saranno forti accelerazioni (e ce ne saranno) non riuscirò proprio a premere il bottone della macchina fotografica.
Il sibilo del vento si alza tremendamente, Richard mi urla "Siamo oltre i 250 adesso andiamo!".
Mentre mi dice questo attivo la funzione video della macchina fotografica, sento lo specchio che si alza e l'otturatore che si apre, ma ho la macchina in grembo e non posso guardare il pannello di controllo. Devo premere un altro bottone per avviare la ripresa video, lo cerco con il pollice e lo premo, ma non so se ho premuto bene o no perche' mi scappa il pollice.

Il mio pilota ha tirato di colpo indietro lo stick, l'aereo si impenna e dove prima c'era il terreno ora vedo il cielo, stiamo attaccando un looping (giro della morte).
L'accelerazione è fortissima e mi toglie il fiato, la macchina quasi mi scappa di mano. Spero stia registrando... Non posso premere di nuovo il bottone, perchè se la registrazione si era avviata correttamente adesso la interromperei, non resta che sperare.
Quando arriviamo nella parte alta del looping, in volo rovesciato iniziamo la discesa siamo senza peso, una sensazione bellissima.
Chiedo a Richard a quanti g siamo arrivati, mi risponde "4".

Riprendiamo subito velocità e attacchiamo un secondo looping ancora più veloce. Di nuovo sento l'accelerazione che mi schiaccia. Stringo forte la macchina fotografica al punto che ho l'impressione che l'obiettivo si sia mosso rispetto al corpo macchina. Di nuovo senza peso, forse gli angeli si sentono così.

Torniamo giù riprendendo velocità, questa volta la richiamata è un po' più dolce, sembra un altro looping ma nella parte di salita attacca un tonneau e partiamo per una vite orizzontale verso sinistra, lenta, infinita, bellissima. Poi un'altra questa volta verso destra.
Sono senza fiato, respiro soltanto quando sono senza peso.
Per fortuna il mio pilota la smette...
- "Come stai?"-
- "Benone, che domande..."- ma sono veramente a corto di ossigeno.

Abbiamo perso molta quota, adesso vedo chiaramente il campo di volo con l'aereo da traino parcheggiato e gli hangar. Il pilota mi propone un passaggio radente a bassa quota, gli dico ovviamente di sì e ci tuffiamo in un'altra piccola picchiata.
Richiamiamo che siamo quasi a terra e passiamo sulla pista a 210 km/h a non più di 2 metri da terra. Una piccola cabrata e un paio di virate lente per perdere velocità e ci allineiamo nuovamente con la pista.

Adesso è finita, vicino al mio ginocchio sinistro vedo il comando dei freni aerodinamici che scivola in avanti, sento il carrello che scende, ancora 2 secondi e poi un tonfo sordo e una serie di scossoni. Siamo di nuovo a terra.

Una volta a terra, Rocket mi accoglie dicendomi che ha pilotato anche lui. Forte il ragazzo, penso, si inventa le cose. Invece no.
Il vecchietto di prima (ovvero il pilota del traino, un personaggio con 50.000 ore di volo sulle spalle) lo ha fatto salire nella cabina di pilotaggio del suo Piper da 450 cavalli (cazzo che invidia!!!).

Ora dopo un mese e mezzo, il ricordo è ancora vividissimo in me, ma per farvi capire meglio ecco a voi un cortometraggio di cui vado decisamente fiero, innanzitutto perchè è il mio primo corto, e poi perchè l'ho fatto tutto da solo. Unico contributo, alcune foto scattate da Giulia.

domenica 13 novembre 2011

Tiramisu

"Mamma perché sei arrabbiata?"
"Non sono arrabbiata, sono preoccupata"
"Perché?"
"Sono preoccupata di quello che succede in Italia"
"Ci vengo io a far passare la tristezza all'Italia!"

mercoledì 2 novembre 2011

Anniversario

Due anni giusti che siamo qui. Il pomeriggio del 2 novembre, in un buio precoce, per noi ancora innaturale, stavamo scaricando dall'auto il lettino di Riccardo.
Quella sera a casa di Silvia, un brindisi: "all'emigrazione!", la ripetizione di un altro brindisi fatto sei mesi prima, quando erano partiti loro.
Avevamo paura, chiaro. A vent'anni, venticinque, magari emigri a cuor leggero pensando alle avventure che verranno. A trenta e rotti, con un bambino piccolo, le cose cambiano. C'è meno margine di errore.
Io partivo con una promessa di lavoro che a casa mi sarei sognata, avessi anche girato tutto lo Stivale. Su di me gravava l'aspettativa, per contro, di imparare la lingua e quindi di rendermi indipendente in Pronto Soccorso, nel giro di due mesi. Non poco impegnativo.
Marco aveva lasciato il mitico "posto fisso", sogno dell'italiano medio, per seguire me nell'avventura. Aveva lasciato un posto comodo, ma in cui non si imparava mai nulla di nuovo.
Entrambi speravamo di trovare: un po' di serietà, la possibilità di migliorare, la possibilità di crescere noi stessi nostro figlio senza rinunciare a lavorare. Non abbiamo mai avuto il mito della Svezia come società perfetta ma ci pareva un posto in cui il nostro futuro sarebbe dipeso da noi soltanto.
Lasciavamo anche ben quattro entusiasti nonni che avrebbero fatto la fortuna di molti genitori. Non me ne vogliano i nonni, che sono ottimi nonni, se dico che i figli vanno cresciuti dai propri genitori. È una responsabilità che non si può delegare, ma per come stavano le cose in Italia ci saremmo trovati a scegliere: o delegare la cura dei bimbi, o rinunciare, uno di noi, al lavoro.

"Chi se varda sempre indrìo no ga voja de 'ndare avanti" dice sempre il nostro maestro.
Non mi piace guardarmi indietro. È anche per questo che di solito non amo esprimermi sui problemi italiani. Non riesco a raccontare la sensazione soffocante che mi sentivo addosso vivendo lì, nel Paese immobile (era solo un limite mio?). Marco aveva iniziato a scrivere un post su questo ma glie l'ho spietatamente censurato. Le lamentele non servono a nulla.
Ora siamo qui. In questi due anni abbiamo costruito: un lavoro per me e uno per Marco, in cui siamo apprezzati, un soldatino a cui i pantaloni vanno perennemente corti e curioso di ogni cosa, una piccola vichinga che già vuole camminare, un appartamento perennemente incasinato, alcune buone amicizie, di quelle che ti scaldano il cuore.
C'è tanto da fare: i bambini si meritano il meglio da noi e per guidarli in questo mondo dobbiamo conoscerlo e capirlo noi per primi. Dobbiamo impegnarci nel lavoro e non farci cogliere impreparati dai cambiamenti che prima o poi arriveranno.
Non so se staremo sempre qui, ma in qualsiasi direzione sia, bisogna andare avanti.